Diritto penale, Falso, reato-mezzo, reato-fine, autocertificazione, Corte di Cassazione, V Sez. pen., sent. n. 2064 del 18/01/2018

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Diritto penale, Falso, reato-mezzo, reato-fine, autocertificazione, Corte di Cassazione, V Sez. pen., sent. n. 2064 del 18/01/2018

Linee essenziali delle argomentazioni della Suprema Corte di Cassazione

Ricorso avverso l’ordinanza del 11/07/2017 del TRIBUNALE LIBERTA di RIETI

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’11/7-2/8/2017 il Tribunale del Riesame di Rieti ha confermato il sequestro preventivo delle licenze n…. e n… per noleggio con conducente rilasciate dal Comune di….., rispettivamente a favore degli indagati … …. e ….., emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Rieti in data 12/6/2017, respingendo la richiesta di riesame proposta dai predetti indagati.

Nei confronti dei due indagati erano stati inizialmente addebitati, a titolo di incolpazione provvisoria, i reati di cui agli artt. 483, 61 n.2, 48 e 480 cod.pen.

In particolare …., titolare della ……….. Cooperativa, a sua volta titolare della licenza n…. per noleggio con conducente (di seguito, semplicemente n.c.c.) rilasciata dal Comune di …., relativamente all’autovettura …., era accusato di avere falsamente attestato, in sede di richiesta di aggiornamento della licenza in data 4/9/2014, la permanenza dei requisiti di cui all’art. 10 del Regolamento comunale n.c.c. perché il locale indicato come rimessa, goduto in comodato gratuito, era un locale fatiscente in campagna, con caratteristiche idonee al rimessaggio di attrezzi agricoli, e così di aver tratto in inganno il dirigente comunale in sede di rinnovo dell’autorizzazione in data 8/10/2014, attestando falsamente la sussistenza dei necessari requisiti.

Invece ….., titolare della licenza n…. n.c.c. rilasciata dal Comune di……, relativamente all’autovettura ……, era accusato di avere falsamente attestato in sede di richiesta di aggiornamento della licenza in data 18/6/2012 la permanenza dei requisiti di cui all’art.10 del Regolamento comunale n.c.c. perché il locale indicato come rimessa, goduto in comodato gratuito, era in realtà inutilizzato, e così di aver tratto in inganno il dirigente comunale in sede di rinnovo dell’autorizzazione in data 21/6/2012, attestando falsamente la sussistenza dei necessari requisiti.

2. Hanno proposto ricorso i difensori di fiducia dei due indagati ….. e ….., svolgendo tre motivi.

2.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano inosservanza o erronea applicazione degli artt.48 e 480 cod.pen. e dell’art.321, comma 2, cod.proc.pen. per insussistenza del fumus commissi delicti.

Essi osservano che il capo di provvisoria incolpazione contestava agli indagati due reati, il primo ex art.483 cod.pen., strumentale alla commissione del secondo ex art.480 cod.pen., con la conseguente aggravante del nesso teleologico.

Sia il G.I.P. sia il Tribunale del riesame avevano escluso il reato-mezzo poiché gli indagati non avevano attestato alcunché in merito alle caratteristiche della rimessa per auto, se non di avere la legittima disponibilità di un locale a ciò adibito. Era quindi venuto meno l’elemento cardine della falsa attestazione del privato alla pubblica amministrazione; non si riusciva quindi a comprendere come potesse persistere il reato-fine, una volta privato della falsa attestazione dei due indagati.

Secondo i ricorrenti, vi era cioè una radicale inconciliabilità logico-giuridica fra l’esclusione del reato mezzo e la configurabilità del reato-fine ex art.48 e 480 cod.pen. poiché l’induzione in errore del pubblico funzionario esigeva una falsa attestazione resa dal privato induttore. Non era data quindi alternativa: o l’atto amministrativo attestava qualcosa in più rispetto a quanto dichiarato dal privato ed allora ogni responsabilità al proposito competeva al pubblico ufficiale; ovvero l’atto amministrativo si limitava ad asseverare e attestare esclusivamente quanto dichiarato dai richiedenti (ipotesi questa ravvisata in concreto dai ricorrenti), senza prender posizione sull’idoneità dell’autorimessa o sull’uso fattone, ed allora non poteva sussistere alcun reato di falso.

In particolare, per quanto riguarda il…., la sua autorimessa era stata giudicata idonea ma non utilizzata sulla base di una dichiarazione resa due anni e otto mesi dopo la richiesta di rinnovo, sicché era impossibile che l’autorizzazione comunale potesse attestare un fatto futuro quale il successivo concreto utilizzo da parte del licenziatario.

2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano inosservanza o erronea applicazione dell’art.8, comma 3, della legge 21 del 1992, dell’art.5 della legge Regione Lazio n.58/1993 e dell’art.10, comma 2, n.5 del regolamento comunale n.c.c. n.31/2000 di ……

L’art.10, comma 2, n.5 del regolamento comunale n.c.c. n.31/2000 di ….. prevede che la rimessa debba essere idonea a consentire il ricovero dei mezzi e la loro ordinaria manutenzione, ma nessuna norma indicava le caratteristiche minime del locale che ne garantissero l’idoneità. In particolare nessuna indicazione in ral senso poteva essere desunta né dall’art.8, comma 3, della legge 21 del 1992, né dall’art.5 della legge Regione Lazio n.58/1993, con le quali il regolamento comunale non poteva porsi in contrasto pretendendo requisiti più onerosi.

In ogni caso nessuna norma si occupava dell’utilizzazione della rimessa quale requisito strutturale della stessa, come era stato invece imputato al …..

2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’inosservanza dell’art.125 cod.proc.pen. per la mancanza di motivazione in ordine alle censure articolate in sede di riesame.

La motivazione dell’ordinanza era meramente apparente: lo stesso Tribunale aveva escluso, ribadendo l’insussistenza del reato di cui all’art.483 cod.pen. i che gli indagati avessero dichiarato di avere la perdurante disponibilità di «idonea rimessa», cosa comunque impossibile in difetto di una normativa specifica che definisca i requisiti di idoneità, potendo tuttalpiù esigersi l’idoneità oggettiva ad ospitare un autoveicolo, per dimensioni o caratteristiche fisico-strutturali, mentre l’autorità amministrativa non aveva adottato alcun provvedimento sanzionatorio nei confronti dei privati titolari di licenza.

Inoltre non era dato sapere le condizioni delle due rimesse al momento del fatto consumativo dei reati ipotizzati, rispettivamente 7 mesi prima dei sopralluoghi, quanto al ….., e 2 ani e 8 mesi prima, quanto al ….

L’argomento finale speso dal Tribunale per rimproverare agli indagati di non aver comunicato al Comune alcun fatto sopravvenuto circa la perdita della disponibilità o dell’idoneità della rimessa, era palesemente illogico: il…. riteneva e continuava a ritenere idonea la propria rimessa, mentre il … non aveva niente da comunicare perché utilizzava regolarmente la rimessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione degli artt.48 e 480 cod.pen. e dell’art.321, comma 2, cod.proc.pen. per insussistenza del fumus commissi delicti.

1.1. E’ pur vero che il capo di incolpazione (comunque provvisoria) contestava agli indagati due reati, il primo ex art.483 cod.pen. (falsità ideologica del privato in atto pubblico), e il secondo, per induzione, ex art.480 cod.pen. (falsità ideologica, per induzione, del pubblico ufficiale in certificati e autorizzazioni amministrative) ipotizzando anche l’aggravante del nesso teleologico fra i due reati.

Sia il G.I.P. sia il Tribunale del riesame avevano escluso la configurabilità del falso ideologico del privato in atto pubblico ex art.483 cod.pen. poiché gli indagati non avevano proceduto ad una attività di autocertificazione e non quindi perché non avevano attestato alcunché in merito alle caratteristiche della rimessa nella loro legittima disponibilità.

1.2. Non soccorre quindi l’argomentazione dei ricorrenti che assumono che sia quindi venuto meno l’elemento cardine della falsa attestazione del privato alla pubblica amministrazione, di modo che non si riusciva quindi a comprendere come potesse persistere il reato-fine, una volta privato della falsa attestazione dei due indagati.

Ciò che è stata esclusa, con il reato di cui all’art.483 cod.pen., non è la sussistenza di una falsa dichiarazione resa dai privati alla Pubblica Amministrazione e idonea a trarre in inganno il pubblico ufficiale, ma solo una vera e propria autocertificazione resa dal privato.

1.3. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.) è configurabile solo nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero. (Sez. U, n. 28 del 15/12/1999, Rv. 215413).

Tale principio è stato ripreso e confermato da numerose pronunzie conformi di questa Sezione (Sez. 5, n. 39215 del 04/06/2015, …e altro, Rv. 264841; Sez. 5, n. 18279 del 02/04/2014, Rv. 259883; Sez. 5, n. 5365 del 04/12/2007 – dep. 2008, Rv. 239110; Sez. 5, n. 17363 del 12/02/2003, Rv. 224750).

1.4. Secondo tutta la giurisprudenza di legittimità per la configurazione della fattispecie del falso per induzione del pubblico ufficiale è invece necessaria una falsa dichiarazione resa dal privato atta a indurre in errore il funzionario (Sez. 5, n. 37971 del 20/06/2017, Rv. 270915; Sez. 5, n. 37944 del 31/05/2017, Rv. 270762; Sez. 5, n. 48342 del 07/10/2015, Rv. 265480).

Inoltre, sempre in tema di falso in atto pubblico per induzione, qualora il pubblico ufficiale adotti un provvedimento a contenuto descrittivo o dispositivo dando atto in premessa, anche implicitamente, dell’esistenza delle condizioni richieste per la sua adozione, desunte da atti o attestazioni non veri prodotti dal privato, il provvedimento del pubblico ufficiale è ideologicamente falso in quanto adottato sulla base di un presupposto inesistente e del falso non risponde il p.u., tratto in inganno, ma il soggetto che lo ha indotto in errore. (Sez. 5, n. 35006 del 17/06/2015, Rv. 265019; Sez. 5, n. 24301 del 19/03/2015, Rv. 263909).

1.5. Non è quindi condivisibile l’assunto dei ricorrenti secondo i quali sussisteva una radicale inconciliabilità logico-giuridica fra l’esclusione del reato ex art.483 cod.pen. e la configurabilità del reato ex art.48 e 480 cod.pen.: l’induzione in errore del pubblico funzionario esige sì una falsa attestazione o dichiarazione resa dal privato induttore ma non una autocertificazione, già di per sé fidefaciente.

1.6. Tornando all’alternativa tracciata dai ricorrenti: l’atto amministrativo non attestava affatto qualcosa in più rispetto a quanto dichiarato dal privato al pubblico ufficiale, ma si limitava ad asseverare e attestare esclusivamente quanto dichiarato dai richiedenti (come ipotizzato dagli stessi ricorrenti), ma tale dichiarazione tuttavia aveva investito anche il tema dell’idoneità dell’autorimessa.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano inosservanza o erronea applicazione dell’art.8, comma 3, della legge 21 del 1992, dell’art.5 della legge Regione Lazio n.58/1993 e dell’art.10, comma 2, n.5 del regolamento comunale n.c.c. n.31/2000 di……

Le loro argomentazioni però, meritevoli di attenzione sotto il profilo amministrativistico, non colgono il segno in questa sede.

2.1. I due richiedenti ….. e …. hanno dichiarato nella loro istanza di autorizzazione di essere in possesso del requisito di cui all’art.10, comma 2, n.5, del regolamento comunale n.c.c. n.31/2000 di …, ossia di avere la disponibilità di «idonee rimesse atte a consentire il ricovero dei mezzi e la loro ordinaria manutenzione».

In sede penale e con riferimento al fatto oggettivo della falsità della dichiarazione contestata agli indagati, non ha alcun rilievo, quand’anche sussistente, la pretesa illegittimità del regolamento comunale (per vero ipotizzata solo in quanto esigente un requisito più severo di quello preteso dalla legge statale e dalla legge regionale in tema di n.c.c.); infatti, a tutto concedere, i due richiedenti avrebbero dovuto impugnare il regolamento e gli atti consequenziali dinanzi al giudice amministrativo e non già attestare il falso nella richiesta per eludere la norma comunale censurata.

2.2. I ricorrenti osservano che l’art.10 del regolamento comunale prevede che la rimessa debba essere idonea a consentire il ricovero dei mezzi e la loro ordinaria manutenzione, ma sottolineano che nessuna norma indicava le caratteristiche minime del locale che ne garantisca l’idoneità.

In altro passaggio argomentativo i ricorrenti ammettono che avrebbe tuttalpiù potuto esigersi dalle loro dichiarazioni l’affermazione dell’idoneità oggettiva delle rimesse ad ospitare un autoveicolo, per dimensioni o caratteristiche fisico-strutturali.

2.3. Ora, per quanto riguarda la dichiarazione dell’indagato ….., risulta che egli abbia dichiarato di disporre di una rimessa idonea a consentire il ricovero dei mezzi e l’ordinaria manutenzione (a ciò equivale il richiamo per relationem al predetto art.10 del regolamento comunale n.c.c.); tale affermazione non era vera, sia perché il locale da lui indicato aveva le caratteristiche di un rimessaggio di attrezzi (e non veicoli) agricoli e non era obiettivamente idoneo ad ospitare e manutenere un veicolo di grandi dimensioni, il che implicava anche una rilevante sottovalutazione dimensionale del locale rispetto alla soglia dell’idoneità.

Giova inoltre sottolineare che in tema di misure cautelari reali il giudice, cui é precluso l’accertamento del merito dell’azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del fumus del reato ipotizzato, con riferimento anche all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, purché ciò appaia di immediato rilievo ictu ocu/i (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Rv. 266896; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014, Rv. 259337).

2.4. La situazione è diversa per quel che riguarda il ….. perché allo stesso non viene addebitato di aver attestato falsamente l’idoneità della autorimessa nella sua disponibilità, ma piuttosto di non averla concretamente utilizzata.

Il che, all’evidenza, non ha nulla a che vedere con il tenore della sua dichiarazione, che concerne fatti diversi, che fuoriescono dai presupposti, sia espliciti sia impliciti, del provvedimento autorizzativo.

In effetti è corretta l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale nessuna norma si occupava dell’utilizzazione della rimessa quale requisito strutturale della stessa, come era stato invece imputato al…..

Inoltre, la sua autorimessa era stata giudicata idonea ma non utilizzata sulla base di una dichiarazione resa due anni e otto mesi dopo la richiesta di rinnovo: certamente era impossibile che l’autorizzazione comunale (al pari dell’istanza di rinnovo dell’interessato) potesse attestare un fatto futuro quale il successivo concreto utilizzo da parte del licenziatario.

In altri termini, la dichiarazione del 2012 del …. è stata ritenuta falsa e concretamente idonea a indurre in errore la Pubblica amministrazione sulla base dell’uso (o meglio del «non uso» successivo) arguito da una dichiarazione testimoniale e dal rinvenimento in loco di un grosso trattore agricolo in luogo dell’autovettura al momento del sopralluogo.

Così ragionando, si confonde evidentemente l’inadempimento successivo agli obblighi scaturenti dal rilascio dell’autorizzazione amministrativa con la falsità delle dichiarazioni rese al momento della richiesta di rilascio.

Ciò giustifica l’accoglimento del ricorso relativamente alla posizione di …..

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’inosservanza dell’art.125 cod.proc.pen. per la mancanza di motivazione in ordine alle censure articolate in sede di riesame.

Tali doglianze, sotto la pretesa veste di una violazione di legge per assenza di motivazione in realtà deducono vizi motivazionali del provvedimento impugnato, ossia una censura non consentita dall’art.325 cod.proc.pen. in sede di impugnazione di legittimità del provvedimento in materia di misure cautelari reali.

Infatti, in tema di ricorso avverso i provvedimenti cautelari reali, costituiscono violazione di legge legittimante il ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016 – dep. 2017, Rv. 269296); costituisce quindi violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Rv. 269119; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Rv. 248129; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. …e altri, Rv. 242916; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692;. S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, non massimata sul punto).

4. Il ricorso di…. deve quindi essere respinto, con condanna al pagamento delle spese del procedimento, a differenza di quello di ….. che merita accoglimento.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato nei confronti di ……

Rigetta il ricorso di ……., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Fonte Suprema Corte di Cassazione

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