Ambiente, Disciplina delle matrici materiali di riporto – chiarimenti interpretativi, Ministero Ambiente

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Ambiente, Disciplina delle matrici materiali di riporto – chiarimenti interpretativi, Ministero Ambiente

Oggetto: Disciplina delle matrici materiali di riporto – chiarimenti interpretativi, Circolare del Direttore Generale prot 0015786 del 10 novembre 2017

Con riferimento alla disciplina delle matrici materiali di riporto ed all’utilizzo che di tali materiali possono farsi anche in considerazione delle nuove disposizioni in materia contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2017, n.120, regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto – legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, la presente circolare intende fornire alle Amministrazioni in indirizzo chiarimenti interpretativi al fine di uniformarne l’azione amministrativa.

I. Definizione e qualificazione giuridica delle matrici materiali di riporto. Le novità introdotte dal DPR 120/2017
Il problema interpretativo sulla natura e, quindi, sulla gestione dei materiali di riporto ha spinto il legislatore nazionale ad intervenire sull’argomento in molteplici occasioni.
Con l’intento di voler chiarire taluni aspetti di dubbia interpretazione, appare utile, in primis, soffermarsi sulla definizione di “matrici materiali di riporto” necessaria per individuare, successivamente, il regime giuridico da applicare alla gestione di tali materiali.
L ’articolo 185, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, rubricato “Esclusione dell’ambito di applicazione” , dispone che “Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: [omissis]
b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati;
c) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato; [omissis] ”.
Il predetto articolo 185 è stato oggetto, successivamente, di interventi normativi. Difatti, il decreto l egge 25 gennaio 2012, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge n. 28 del 24 marzo 2012, all’articolo 3, rubricato “Interpretazione autentica dell’articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006, disposizioni in materia di matrici materiali di riporto e ulteriori disposizioni in materia di rifiuti”, ha chiarito che “Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al “suolo” contenuti all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo, costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri” .
In sostanza, l’articolo 3, comma 1, del D.L. 2/201 2 fornisce la definizione di “ matrici materiali di riporto ” evidenziando la volontà del legislatore di equiparare, al ricorrere di particolari condizioni, i materiali di riporto al suolo con conseguente applicazione dell’articolo 185, comma 1, del decreto legislativo n. 152/2006.
Nello stesso senso del predetto quadro normativo, depone il nuovo DPR 120/2017. Nello specifico l ’articolo 4, comma 3, relativo ai criteri per qualificare le terre e rocce da scavo come sottoprodotti, stabilisce che nei casi in cui le terre e rocce da scavo contengano materiali di riporto, la componente di materiali di origine antropica frammisti ai materiali di origine naturale non può superare la quantità massima del 20% in peso. Oltre al rispetto dei requisiti di qualità ambientale di cui al comma 2, lettera d), i l citato articolo 4, comma 3, prevede che le matrici materiali di riporto sono sottoposte al test di cessione, effettuato secondo le metodiche di cui a ll’Allegato 3 del decreto del Ministro dell’ambiente del 5 febbraio 1998, recante “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero”, per i parametri pertinenti, ad esclusione del parametro amianto, al fine di ac certare il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione delle acque sotterranee, di cui alla Tabella 2, Allegato 5, al Titolo 5, della Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o, comunque, dei valori di fondo naturale stabiliti per il sito e approvati dagli enti di controllo.
L’articolo 24, comma 1, del DPR 120/2017 , recante la disciplina dell’utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce escluse dalla disciplina rifiuti, prevede che ai fini dell’esclusione dall’ambito di applicazione di tale normativa, le terre e rocce da scavo devono essere conformi ai requisiti di cui all’articolo 185, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e, in particolare, devono essere utilizzate nel sito di produzione. La norma in commento prevede, inoltre, che, fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, del decreto – legge 25 gennaio 2012, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28, la non contaminazione è verificata ai sensi dell’allegato 4 dello stesso DPR.

II. Quadro normativo di riferimento in materia di gestione
Al fine di rinvenire la normativa in merito alla gestione delle matrici materiali di riporto occorre guardare all’articolo 3 del decreto – legge 25 gennaio 2012, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28, come modificato dall’articolo 41 , comma 3, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98.
L’articolo 3, comma 2, del citato decreto – legge stabilisce che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 185, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’articolo 9 del decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1998, n. 88, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati”.
Di contro, l’articolo 3, comma 3, del medesimo decreto – legge prevede, altresì, che “le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute”.
L ’articolo 26 del DPR n. 120/2017 disciplina l’utilizzo delle terre e rocce da scavo prodotte dalle attività di scavo all’interno di un sito oggetto di bonifica, stabilendo che tale utilizzo è sempre consentito a condizione che sia garantita la conformità alle concentrazioni soglia di contaminazione per la specifica destinazione d’uso o ai valori di fondo naturale. Nel caso in cui l’utilizzo delle terre e rocce da scavo sia inserito all’interno di un progetto di bonifica approvato, si applica quanto previsto dall’articolo 242, comma 7, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Nei casi in cui le terre e rocce da scavo non risultino conformi alle concentrazioni soglia di contaminazione o ai valori di fondo, ma risultino inferiori alle concentrazioni soglia di rischio, possono essere utilizzate nello stesso sito alle condizioni previste dal predetto articolo 26, comm a 2, lettere a) e b), cui si rinvia.
Tale disposizione è in linea con quanto previsto dall’articolo 34 del decreto legge 12 settembre 2014, n.133, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. In particolare, il comma 9 dell’articolo 34 dispone che “Il riutilizzo in situ dei materiali prodotti dagli scavi è sempre consentito se ne è garantita la conformità alle concentrazioni soglia di contaminazione/valori di fondo”.
Dunque, nel caso in cui i materiali prodotti dagli scavi rispettino la conformità alle concentrazioni soglia di contaminazione/valori di fondo, e pertanto non risultino essere contaminati, è sempre consentito il riutilizzo in situ restando, altresì, esclusi dal regime normativo dei rifiuti ai sensi dell’articolo articolo 185, comma 1, lettere b) e c), d. lgs. 152/2006.
L’articolo 34, comma 10, del decreto – legge n. 133 del 2014, dispone che “ I terreni non conformi alle concentrazioni soglia di contaminazione/valori di fondo, ma inferiori alle concentrazioni soglia di rischio, possono essere riutilizzati in situ con le seguenti prescrizioni:
a) le concentrazioni soglia di rischio, all’esito dell’analisi di rischio, sono preventivamente approvate dall’autorità ordinariamente competente, mediante convocazione di apposita conferenza di servizi. I terreni conformi alle concentrazioni soglia di rischio sono riutilizzati nella medesima area assoggettata all’analisi di rischio;
b) qualora ai fini del calcolo delle concentrazioni soglia di rischio non sia stato preso in considerazione il percorso di lisciviazione in falda, l’utilizzo dei terreni scavati è consentito solo se nell’area di riutilizzo sono attivi sistemi di barrieramento fisico o idraulico di cui siano comprovate l’efficienza e l’efficacia. ”

III. Gestione delle terre e rocce da scavo contenenti matrici materiali di riporto
Dall’esame del quadro normativo descritto, si evince chiaramente che:
a) le terre e rocce da scavo contenenti matrici materiali di riporto nei limiti di cui all’articolo 4, comma 3, del DPR n. 120/2017, che risultino conformi al test di cessione e non risultino contaminate, possono essere gestite come sottoprodotti;
b) le terre e rocce da scavo contenenti matrici materiali di riporto non contaminate e conformi al test di cessione ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto – legge n. 2 del 2012 possono essere riutilizzate in sito in conformità a quanto previsto dall’articolo 24 del DPR n . 120/2017.
c) le terre e rocce da scavo contenenti matrici materiali di riporto contaminate e non conformi al test di cessione ai sensi del comma 3 dell’articolo 3 del decreto – legge n. 2 del 2012, in relazione ai successivi interventi normativi rappresentati dall’articolo 34, commi 9 e 10, del decreto – legge n. 133 del 2014 e d a ll’articolo 26 del DPR n . 120/2017 sono fonti di contaminazione.
In tal caso, ai sensi dell’art. 3 comma 3 del decreto legge 25/2012, le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione devono, alternativamente e non cumulativamente, essere:
1) rimosse;
2) sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.
3) rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti;
La rimozione della fonte di contaminazione di cui al punto 1) avviene attraverso la bonifica. A i sensi dell’articolo 240, comma 1, lettera p), del d.lgs. n. 152 del 2006, per “bonifica” deve intendersi “l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)”. Considerato, poi, che il comma 1 dell’articolo 3 del decreto – legge n. 2 del 2012 mantiene ferma la normativa delle bonifiche, è applicabile, nel caso di specie, anche la messa in sicurezza operativa ricorrendone le condizioni di legge. Visto infine che l ’articolo 240, comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 152 del 2006 definisce “messa in sicurezza operativa” come : “l’insieme degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio atti a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell’attività. Essi comprendono altresì gli interventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all’esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione delle contaminazioni all’interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l’efficacia delle soluzioni adottate”.
Pertanto le attività di cui al punto 2) vanno intraprese in tutte quelle ipotesi in cui la normativa sulle bonifiche prevede l’applicabilità della messa in sicurezza permanente.
Le attività richiamate al punto 3), invece, vanno intraprese nel caso in cui il suolo viene escavato e ai fini del suo eventuale successivo utilizzo, non ricorrano le condizioni per la gestione in qualità di sottoprodotto o per il riutilizzo in sito, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 4, comma 3, e 24, comma 1, del DPR n . 120/2017 . In tali casi si prevede il “trattamento” di tali matrici, che ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera s), del d.lgs. n. 152 del 2006 consiste in tutte quelle “operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento”.
In estrema sintesi dunque, nel caso le matrici materiali di riporto rispettino la conformità alle concentrazioni soglia di contaminazione/valori di fondo, e pertanto non risultino essere contaminate, è sempre consentito il riutilizzo in situ.
Nel caso in cui nelle matrici materiali di riporto sia presente una fonte di contaminazione è necessario procedere alla eliminazione di tale fonte di contaminazione e non dell’intera matrice materiale di riporto prima di poter riutilizzare in situ il materiale di riporto stesso.

Fonte Ministero Ambiente

 

Circolare Ministero Ambiente del 10 novembre 2017

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