Finanza di progetto, Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, Sezione Unica, sentenza n. 53 del 16 febbraio 2017, accertamento della responsabilità precontrattuale e procedimentale per la revoca della procedura di gara e risarcimento del danno

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Finanza di progetto, Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, Sezione Unica, sentenza n. 53 del 16 febbraio 2017, accertamento della responsabilità precontrattuale e procedimentale per la revoca della procedura di gara e risarcimento del danno

Passim

Il Tribunale Regionale è stato adito per l’accertamento della responsabilità precontrattuale e procedimentale per la revoca della procedura di gara per l’affidamento, mediante ricorso alla finanza di progetto, del contratto avente ad oggetto la progettazione definitiva ed esecutiva, la costruzione e la successiva gestione <omesso>, con conseguente condanna della <omessa> a corrispondere quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno ovvero, in via subordinata, a titolo di indennizzo ai sensi dell’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, previo annullamento, se del caso, determinazione dirigenziale n. <omessa> .

Il Collegio preliminarmente osserva che i provvedimenti di revoca si configurano come tipici atti di natura discrezionale e che la discrezionalità dell’Amministrazione, nell’adozione di provvedimenti della specie, risulta ancor più ampia quando la revoca va ad incidere su rapporti non ancora consolidati.

Emblematica in tal senso appare la giurisprudenza in materia di revoca dell’aggiudicazione provvisoria. Difatti – muovendo dal presupposto che il passaggio dall’aggiudicazione provvisoria all’aggiudicazione definitiva non è oggetto di un obbligo della stazione appaltante, né un diritto dell’aggiudicatario provvisorio, sicché la possibilità che all’aggiudicazione provvisoria della gara d’appalto non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico – da un lato, si afferma che l’aggiudicatario provvisorio è titolare di una posizione differenziata (rispetto a chi aggiudicatario provvisorio non è) e di un’aspettativa tutelata a che l’aggiudicazione provvisoria divenga definitiva; dall’altro, si riconosce che la scelta di revocare l’aggiudicazione provvisoria costituisce esercizio di un’ampia discrezionalità amministrativa, come tale sindacabile solo per vizi quali la manifesta illogicità, oppure un travisamento di fatti. Tra le ragioni che possono giustificare la revoca dell’aggiudicazione provvisoria figurano (per quanto interessa in questa sede): A) l’insostenibilità dell’impegno economico assunto dell’Amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. III, 31 gennaio 2014, n. 467); B) esigenze dell’Amministrazione collegate agli obiettivi di razionalizzazione e contenimento della spesa (Consiglio di Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1797); C) una generale rivisitazione degli intenti dell’Amministrazione in merito alla complessiva politica di gestione di un settore (Consiglio di Stato, Sez. V, 21 aprile 2016, n. 1600).

Poste tali premesse di carattere generale, il Collegio ritiene che le censure in esame non siano fondate in quanto l’illustrazione delle ragioni di carattere economico e gestionale poste a fondamento della determinazione <omessa>: A) da un lato, vale senz’altro (come già evidenziato da questo Tribunale nelle predette sentenze n. 398, n. 400 e n. 404 del 2016) a giustificare l’esercizio dello jus poenitendi da parte dell’Amministrazione e non risultano inficiate da manifesta illogicità, oppure da travisamenti di fatto; B) dall’altro, dimostra la correttezza del modus operandi dell’Amministrazione nei rapporti con i soggetti che avevano preso parte alla gara.

In particolare superano indenni il sindacato di legittimità sia le articolate valutazioni svolte dall’Amministrazione, alla luce dell’analisi commissionata alla <omessa> , sugli aspetti finanziari dell’intervento e, in particolare, sugli effetti della crisi dei mercati finanziari e sulla maggior convenienza del ricorso ad un appalto tradizionale in luogo del project financing, sia le ulteriori valutazioni incentrate sull’esigenza di ridurre e razionalizzare la spesa sanitaria.

10. Quanto agli effetti della crisi dei mercati finanziari, è notorio che essa, pur avendo comportato un abbassamento generalizzato dei tassi d’interesse, tuttavia ha determinato una contrazione del credito per il finanziamento degli investimenti privati, ivi compresi quelli destinati ad operazioni di finanza di progetto. Inoltre è notorio che le condizioni di finanziamento variano in funzione di molteplici fattori, tra i quali assume, oggi più che mai, particolare rilievo il merito di credito (c.d. rating) del soggetto che richiede il prestito.

Per tali ragioni, come già evidenziato da questo Tribunale nelle predette sentenze n. 398, n. 400 e n. 404 del 2016, non vi è motivo per dubitare dell’attendibilità delle valutazioni formulate dalla Provincia sulla base della relazione della <omessa> , denominata “Analisi della convenienza economica circa la realizzazione del <omesso> mediante appalto tradizionale o finanza di progetto e scenari conseguenti”. Difatti in tale relazione conclusivamente si afferma quanto segue: «L’analisi di convenienza economica aggiornata al 2015 evidenzia i benefici attesi per la PAT dal nuovo contesto di riferimento con conseguente riduzione del canone annuo di disponibilità (da corrispondere per tutta la durata della concessione) e, dunque, dell’esborso complessivo nel caso di Finanza di Progetto; tuttavia, nell’ipotesi di Appalto Tradizionale, l’applicazione di un tasso fisso BEI molto conveniente (stimato al 2% anche se quotato dalla BEI a marzo 2015 pari all’1,35%) con completa assenza di oneri di strutturazione finanziaria, determina per la PAT un risparmio ancora maggiore».

11. Quanto alle ulteriori valutazioni della PAT in ordine alla maggior convenienza del ricorso ad un appalto tradizionale, giova preliminarmente rammentare che – come ben evidenziato dalla <omessa> nella relazione del 17 marzo 2015 – l’istituto della finanza di progetto si caratterizza: A) per la presenza di «un progetto idoneo a generare dei flussi di cassa che consentano di autofinanziare l’intervento rimborsando il debito contratto per la sua realizzazione e remunerando il capitale di rischio; flussi derivanti dall’applicazione di tariffe sull’utenza (opere calde) o di canoni esclusivamente/prevalentemente posti a carico dell’Amministrazione … (opere fredde). Pertanto, assumendo che l’intervento risponda ad esigenze alle quali è necessario/ opportuno far fronte e che ne venga assicurata la corretta gestione, il piano economico- finanziario (“PEF”) deve tradurre le assunzioni tecnico/operative/finanziarie in indicatori e gli stessi devono dare evidenza della capacità del progetto di generare flussi di cassa stabili e sufficienti a far fronte, per un determinato periodo, al rimborso del debito contratto ed alla remunerazione del capitale apportato dal privato»; B) per il trasferimento in capo al soggetto privato del rischio dell’operazione, in quanto «l’art. 143, comma 9, del D.Lgs. n. 163/2006 prescrive per le concessioni destinate all’utilizzazione diretta dell’Amministrazione (c.d. opere fredde) l’allocazione in capo al concessionario “dell’alea economico-finanziaria della gestione dell’opera”. L’art. 3, comma 15-ter, del D.Lgs. n. 163/2006, nel definire i contratti di partenariato pubblico privato (“PPP”), di cui fanno parte le concessioni di lavori, specifica che per tali contratti deve esserci una “allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni comunitarie vigenti”; l’ultimo periodo di tale comma precisa che alle operazioni di PPP “si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat”. Secondo le indicazioni contenute nella decisione Eurostat n. 18 dell’11 febbraio 2004, nelle operazioni di PPP il privato deve sostenere il rischio di costruzione e, in relazione alla fase di gestione, almeno uno fra il rischio di domanda e il rischio di disponibilità affinché le operazioni in questione non vengano registrate nei conti delle pubbliche amministrazioni».

Tali prescrizioni sono oggi contenute nelle disposizioni degli articoli 3 e 180 del decreto legislativo n. 50/2016. In particolare l’art. 3, comma 1, lett. eee, definisce il “contratto di partenariato pubblico privato” come “il contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo determinato in funzione della durata dell’ammortamento dell’investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all’utilizzo dell’opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell’operatore”, e precisa che, “fatti salvi gli obblighi di comunicazione previsti dall’articolo 44, comma 1-bis, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat”. L’art. 180 dispone (per quanto interessa in questa sede) che nei contratti di partenariato pubblico privato: A) “i ricavi di gestione dell’operatore economico provengono dal canone riconosciuto dall’ente concedente e/o da qualsiasi altra forma di contropartita economica ricevuta dal medesimo operatore economico, anche sotto forma di introito diretto della gestione del servizio ad utenza esterna” (comma 2); B) “il trasferimento del rischio in capo all’operatore economico comporta l’allocazione a quest’ultimo, oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l’esterno, del rischio di domanda dei servizi resi, per il periodo di gestione dell’opera”, laddove il predetto art. 3 definisce il “rischio di costruzione” come “il rischio legato al ritardo nei tempi di consegna, al non rispetto degli standard di progetto, all’aumento dei costi, a inconvenienti di tipo tecnico nell’opera e al mancato completamento dell’opera” (lett. aaa), il “rischio di disponibilità” come “il rischio legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti” (lett. bbb) e il “rischio di domanda” come “il rischio legato ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa” (lett. ccc).

In definitiva, a differenza dell’appalto tradizionale, la finanza di progetto è basata essenzialmente sull’equilibrio economico-finanziario del PEF per l’intera durata della concessione e su un’allocazione dei rischi in capo al concessionario, in conformità ai criteri innanzi indicati.

12. Poste tali premesse di carattere generale, il Collegio osserva che le valutazioni della Provincia in ordine alla maggior convenienza del ricorso ad un appalto complesso sono frutto di un’accurata istruttoria, che tiene conto dell’analisi svolta dalla < omessa> nella suddetta relazione del 17 marzo 2015, e trovano puntuale riscontro nelle motivazioni dei provvedimenti impugnati.

Innanzi tutto la < omessa>: A) nella propria relazione ha posto a confronto i benefici e le criticità di tre scenari alternativi, costituiti da «una procedura in finanza di progetto tra i quattro concorrenti con documentazione e PEF 2011», «una procedura in finanza di progetto, ma con un nuovo disciplinare ed un PEF aggiornato» e «una procedura di appalto complesso con apertura a tutti gli operatori interessati»; B) nell’allegato n. 2 alla predetta relazione – utilizzando la metodologia indicata nel documento denominato “Analisi delle tecniche di valutazione per la scelta del modello di realizzazione dell’intervento: il metodo del Public Sector Comparator e l’analisi del valore”, redatto nel 2009 dall’Unità Tecnica Finanza di Progetto e dell’AVCP – ha ulteriormente sviluppato, sotto il profilo della diversa allocazione dei rischi, il confronto tra i due scenari costituiti dal ricorso all’appalto tradizionale e dal ricorso alla finanza di progetto. In particolare nel suddetto allegato sono state dettagliatamente indicate le ragioni che hanno indotto la <omessa> a non considerare rischi ulteriori rispetto a quelli di extra costi e ritardi nella costruzione, di seguito indicate: «Secondo la metodologia proposta dall’UTFP-AVCP, si procedeva alla quantificazione dei rischi trasferibili dal sistema pubblico al privato nell’ipotesi di ricorso alla Finanza di Progetto. Tale stima veniva effettuata in considerazione dei rischi trasferibili relativi alla sola fase di realizzazione dell’opera come sopra identificati (rischio di extra costi e ritardi nella costruzione); non venivano, infatti, considerati i rischi relativi alla fase di gestione (ad es. rischio incremento costi di manutenzione, incremento costi operativi, rischio adeguamento tecnologico etc.) per i seguenti motivi: 1) se per i rischi legati alla fase realizzativa ci sono riferimenti ufficiali e statistiche relative agli appalti dal 2000 al 2007 (fonte: AVCP), la stima dei rischi di gestione veniva considerata eccessivamente discrezionale e di scarsa attendibilità anche in ragione della lunga durata del periodo gestionale; 2) nell’ambito dello schema di Convenzione si prevedeva di attenuare il rischio derivante da eccessivi scostamenti del costo dei servizi offerti dal Concessionario rispetto ai valori di mercato durante il periodo della Concessione mediante il c.d. market test (Schema di Convenzione – allegato Q dello Studio di Fattibilità). Si tratta, sostanzialmente, di una verifica periodica da effettuare sul mercato per allineare, in caso di scostamenti osservati oltre una soglia predefinita (10%), i valori dei servizi alle nuove condizioni del mercato, attenuando, da un lato, il rischio per l’Amministrazione di incorrere in extracosti per i servizi in caso di condizioni del mercato migliorative (riduzione prezzi di mercato) ma, allo stesso tempo, riconoscendo al Concessionario un adeguamento del valore dei servizi in caso di valori di mercato superiori a quelli iniziali contrattualizzati. In tal modo, si attenuava l’entità del trasferimento del rischio gestionale al Concessionario per incremento dei costi operativi rispetto all’Appalto Tradizionale; 3) il Canone annuale di disponibilità, oltre all’onere per l’investimento iniziale, remunerava il Concessionario anche per i rinnovi di arredi ed attrezzature proposti in sede di gara (nel c.d. Piano di sostituzione Attrezzature da allegare alla Convenzione); tuttavia, si prevedeva in Convenzione che qualora la PAT avesse optato per l’acquisto di attrezzature diverse da quelle inserite nel Piano di sostituzione Attrezzature proposto dal Concessionario l’eventuale maggior costo sarebbe stato riconosciuto al Concessionario mediante riequilibrio del PEF. Sostanzialmente la PAT si assumeva il rischio di incremento degli investimenti per rinnovo di arredi ed attrezzature rispetto a quanto programmato; pertanto, nessun trasferimento del rischio dalla PAT al Concessionario era stato prudenzialmente previsto». Tali considerazioni sono del tutto condivisibili.

13. In definitiva il Collegio – nel ribadire ancora una volta l’ampiezza della discrezionalità di cui dispone l’Amministrazione nel valutare la convenienza dei diversi sistemi di realizzazione di un’opera pubblica e, in particolare, nel valutare quale sia la migliore allocazione dei rischi connessi al finanziamento, alla progettazione, alla realizzazione e alla gestione dell’opera – ritiene che nel caso in esame la valutazione <omessa> sulla prevalenza dei vantaggi connessi al ricorso ad un appalto complesso (specie in considerazione dei ridotti tassi di interesse e dell’assenza di commissioni nel caso di cofinanziamento dell’intervento da parte di un soggetto pubblico come la BEI, nonché della massima flessibilità operativa garantita dal ricorso all’appalto tradizionale in un contesto dinamico come quello delle politiche sanitarie provinciali, caratterizzato da scenari operativi poco prevedibili e oggetto dei ben noti interventi di spending review) rispetto ai vantaggi connessi al ricorso alla finanza di progetto (in ragione del trasferimento in capo al concessionario dei rischi connessi alla progettazione, realizzazione, gestione e manutenzione dell’opera) superi indenne il sindacato di legittimità di questo Tribunale.

14. In definitiva, la motivazione incentrata sulla maggior convenienza del ricorso ad un appalto complesso in luogo del project financing è, di per sé, sufficiente per ritenere adeguatamente giustificata l’adozione della determinazione dirigenziale n. < omessa> e poiché, in caso di provvedimento plurimotivato, il rigetto della doglianza diretta a contestare una delle ragioni giustificatrici dell’atto lesivo comporta la carenza di interesse della parte ricorrente all’esame delle ulteriori censure volte a contestare le altre ragioni giustificatrici dell’atto medesimo (giurisprudenza consolidata e condivisa: per tutte, Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3194), atteso che il loro accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare l’interesse del ricorrente a ottenere l’annullamento del provvedimento lesivo, le considerazioni che precedono sono di per sé sufficienti per la reiezione del ricorso in esame.

18. Fermo restando quanto precede, il Collegio ritiene comunque infondata la domanda risarcitoria proposta in via principale dalla ricorrente invocando l’art. 1337 cod. civ..

Al riguardo si deve rammentare che il riconoscimento della legittimità della revoca di una procedura di gara non esclude l’accertamento di una responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, ben potendo tale responsabilità discendere dal complessivo comportamento tenuto dal pubblico contraente che – al pari di ogni contraente privato – è tenuto ad evitare di ingenerare nella controparte privata affidamenti ingiustificati. Tuttavia, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 21 aprile 2016, n. 1599), non è configurabile una responsabilità precontrattuale della stazione appaltante anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire prima della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare unicamente un interesse legittimo al corretto esercizio del potere pubblico. In linea con tale giurisprudenza questo stesso Tribunale (T.R.G.A. Trento, 15 novembre 2016, n. 388) ha ribadito che l’Amministrazione può ritenersi soggetta alle conseguenze derivanti dal citato art. 1337 a condizione che la gara sia giunta a uno stadio tale da aver ingenerato nel concorrente la ragionevole aspettativa di conseguire l’aggiudicazione e, quindi, la stipulazione del contratto: in altri termini, occorre che il concorrente veda frustrato un affidamento consolidato in ordine alla favorevole conclusione della procedura di gara.

Pertanto con riferimento alla fattispecie in esame al Collegio resta solo da ribadire che l’impugnata determinazione dirigenziale n. <omessa> va ad incidere essenzialmente su un atto avente limitata valenza esterna, qual è la determinazione dirigenziale <omessa>, con la quale era stata espressa la preferenza per il ricorso al sistema dell’appalto in luogo del sistema della finanza di progetto. Del resto non può certo ritenersi che la mera partecipazione alla gara, mediante presentazione di un’offerta, abbia ingenerato nella ricorrente la ragionevole aspettativa, meritevole di tutela, di conseguire l’aggiudicazione.

19. Inoltre – anche a volere estendere l’ambito applicativo della responsabilità precontrattuale alla fase che precede la scelta del contraente, in ragione del fatto che nel caso in esame la revoca della determina a contrarre travolge anche gli atti della procedura di gara non annullati dal Giudice amministrativo – non è comunque ravvisabile alcuna violazione dei doveri di correttezza buona fede e correttezza.

Difatti, come già evidenziato, a seguito della pubblicazione della sentenza n. 5057/2014 l’Amministrazione ha sì svolto complessi approfondimenti tesi a verificare l’attualità e la perdurante convenienza delle scelte a suo tempo formulate per la realizzazione del nuovo ospedale, ma non ha tenuto alcun comportamento tale da ingenerare negli originari concorrenti affidamenti sulla propria volontà di confermare le predette scelte fino al momento dell’adozione della delibera n. < omessa>, con la quale è stato palesato l’intento di seguire una diversa procedura per la realizzazione dell’opera.

  1. Passando alla domanda di condanna della < omessa> a corrispondere l’indennizzo previsto dell’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, il Collegio rammenta che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 21 aprile 2016, n. 1600; id., Sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1559), finanche in presenza di un’aggiudicazione provvisoria, in caso di revoca degli atti di gara non spetta l’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies, comma 1, della legge n. 241/1990, perché la revoca va ad incidere su un provvedimento destinato ad essere superato dall’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento ad evidenza pubblica, e non su un provvedimento “ad effetti durevoli”, come previsto dalla disposizione dell’art. 21-quinquies, comma 1. In linea con tale giurisprudenza questo stesso Tribunale (T.R.G.A. Trento, 15 novembre 2016, n. 388), con riferimento ad una fattispecie analoga a quella in esame, ha precisato che, se tale conclusione si impone nel caso in cui sia già stato individuato l’aggiudicatario provvisorio, è tanto più valida laddove non sia stato neppure individuato il potenziale aggiudicatario.

Fonte Giustizia Amministrativa

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