Diritto penale, Proprietà industriale, opere del disegno industriale, prodotti industriali, utilizzatore informato, Corte di Cassazione, III Sez. pen., sent. n. 2402 del 22/01/2018
Linee essenziali delle argomentazioni della Suprema Corte di Cassazione
Ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di LECCE, Sez. Dist. TARANTO in data 21/11/2016.
Affermato il seguente principio di diritto: «Il delitto di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale è integrato anche nel caso di opere di design industriale destinate alla produzione seriale, le quali sono tutelabili a norma dell’art. 2, n. 10, della legge n. 633 del 1941 ove ricorrano le condizioni normativamente indicate, date dal carattere creativo e dal contenuto artistico dell’opera (Fattispecie avente ad oggetto la questione della tutelabilità autorale di modelli della produzione seriale della … S.p.A., in cui la Corte ha ritenuto correttamente integrato il reato di cui all’art. 517 – ter c.p., osservando che la caratteristica propria delle opere di cui all’art. 2, n. 10 I. aut. risiede nel fatto che esse, a differenza di quelle figurative, rientranti nella categoria di cui al n. 4 dello stesso art. 2, trovano la loro colloca- zione nella fase progettuale di un oggetto destinato a una produzione seriale, quale è quella industriale)».
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21.11.2016, depositata in data 20.02.2017, la Corte d’appello di Lecce, sez. dist. Taranto, in parziale riforma della sentenza del GUP/tribunale di Taranto dell’11.07.2014, appellata dallo ……. , dal P.G. e dalla ….S.p.A., nel dichiarare inammissibile l’appello proposto dal P.G. quanto al reato di cui agli artt. 110, 81, 474, 474 – ter, c.p. contestato al capo a), dichiarava l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 517-ter c.p. per aver introdotto nello Stato, potendo conoscere il titolo di proprietà industriale al fine di trarre profitto, prodotti industriali realizzati usurpando il titolo di proprietà industriale e in violazione del medesimo, condannando il medesimo alla pena di …. di reclusione ed … di multa, oltre al risarcimento del danno in favore della predetta p.c. ed alle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, in relazione a fatti contestati come commessi fino al 12.04.2011, secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nel capo di imputazione.
2. Contro la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, nominato anche procuratore speciale, iscritto all’albo speciale ex art. 613 cod. proc. pen., deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) e c), c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’art. 517-ter c.p. e correlato vizio di travisamento della prova determinato dall’errore metodologico grossolano ed apodittico relativo alla tecnica di comparazione della contraffazione ed alla ricostruzione della figura dell’utilizzatore informato.
In sintesi, sostiene il ricorrente, dopo aver ricordato che nella materia in esame, la norma di tutela dei modelli nazionali è una norma armonizzata con la disciplina prevista dal regolamento EU di disciplina del modello registrato EU, osserva che il perito nominato nel giudizio di primo grado ….. avrebbe correttamente utilizzato lo stesso modello di analisi cui ricorre l’EUIPO, ossia l’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale che rilascia i titoli internazionali di modello, quanto all’aspetto di un prodotto, inteso come forma, motivi e colori (in ricorso si riporta uno stralcio della perizia …., sostenendo che quanto espresso dal perito riguarderebbe non solo il prodotto esaminato, ossia un coniglietto, ma anche gli altri prodotti sequestrati); il modus procedendi del perito, si evidenzia, sarebbe in linea con il modello seguito dell’EUIPO, richiamando a titolo esemplificativo una decisione di annullamento datata 1.03.2010 del predetto Ufficio brevetti in relazione a due modelli (riproducenti una sedia), tra loro ad occhio nudo uguali, ma differenti secondo la legge di concessione dei modelli; lo stesso ricorrente, passando poi a illustrare la figura del c.d. utilizzatore informato, richiama le linee guida dettate dalla CGUE, che avrebbe chiarito la nozione nell’ambito di un procedimento (C-281/10 P), relativo ad un disegno comunitario raffigurante dischetti di metallo o di plastica destinati al gioco dei bambini; la Corte di giustizia UE avrebbe colto l’occasione per chiarire alcuni concetti del regolamento CE n. 6/2002 sul designer comunitario, sovrapponibili alla norma armonizzata italiana in tema di modello registrato; muovendo proprio dalla nozione di utilizzatore informato, fondamentale nella valutazione dei requisiti di registrabilità di un disegno, la CGUE avrebbe chiarito che si tratta di una nozione intermedia tra quella di consumatore medio e quella di persona competente in materia, dovendosi intendere per utilizzatore informato un utilizzatore dotato non già di un’attenzione media, bensì di una particolare diligenza, a prescindere dal fatto se quest’ultima sia dovuta alla sua esperienza personale o alla sua conoscenza approfondita del settore considerato; tale figura, afferma la CGUE, senza essere un progettista o un esperto tecnico, conosce vari disegni o modelli esistenti nel comparto di riferimento, dispone di un certo grado di conoscenza quanto agli elementi che questi disegni o modelli comportano di regola, e, a causa del suo interesse per i prodotti in questione, da prova di un grado di attenzione relativamente elevato quando li utilizza; nella fat- tispecie in esame, deduce il ricorrente, il perito … si sarebbe attenuto strettamente a tale linea guida della CGUE quanto al concetto di utilizzatore informato, richiamandosi a tal proposito nel ricorso uno stralcio della perizia in cui si descrive detta figura in maniera corrispondente alle predette linee guida, evidenziandosi come il mercato di riferimento dei prodotti di cui si discute è molto affollato.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’art. 517-ter c.p. quanto all’errato presupposto dell’esistenza del diritto d’autore nei modelli … nonché in materia di diritto d’autore allorchè si riconosce agli oggetti …. valore artistico.
In sintesi, sostiene il ricorrente – dopo aver ricordato che la protezione prevista dal diritto d’autore non è una privativa industriale registrata, disciplinata dal codice della proprietà industriale, e non prevede formalità costitutive a differenza delle privative industriali, venendo sanzionata la violazione dagli artt. 171 e ss. L. n. 633 del 1941 – che non sarebbe giuridicamente fondato quanto sostenuto dalla … circa la mutevolezza di tutela delle proprie opere, sia ai sensi dell’art. 2, n. 4, legge n. 633 del 1941 quali opere della scultura, sia ai sensi dell’art. 2, n. 10, legge citata, in quanto opere del disegno industriale; si osserva, quanto alla prima norma richiamata, che essendo la produzione degli oggetti … industriale, le stesse creazioni non possono essere considerate opere della scultura; quanto alla seconda norma evocata, si ricorda che la protezione è riservata alle opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico; nel caso di specie, difetterebbe nei prodotti … il valore artistico, ossia la considerazione, sul piano estetico ed artistico, che l’opera gode presso il pubblico ovvero presso ambienti culturali ed istituzionali a prescindere dalla gradevolezza della forma e dalla funzionalità dell’oggetto; orbene, si sostiene sotto tale profilo che gli articoli … non rivestono valore artistico, non avendo ricevuto riconoscimento da organismi deputati alla tutela di opere d’arte, né da ambienti culturali, seppure le caratteristiche delle creazioni … siano rappresentate delle fattezze arrotondate sinuose e bombate dall’aspetto sognante.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c), c.p.p., sotto il profilo (per quanto si evince dal tenore del motivo, non essendo stata indicata la norma violata), della violazione di legge in relazione all’art. 648 c.p.p., per violazione del principio del giudicato formatosi a seguito della rinuncia all’appello da parte del P.G. in relazione al reato sub a).
In sintesi, sostiene il ricorrente – dopo aver ricordato che all’imputato erano stati originariamente contestati il delitto di cui all’art. 474 e 474-ter c.p. (capo a) e quello di cui all’art. 517 c.p. – ter (capo b) – che l’assoluzione per insussistenza del fatto intervenuta per il reato di cui al capo a) avrebbe precluso l’adozione di una sentenza di condanna per il capo b), tenuto altresì conto della giurisprudenza di questa Corte che ha sempre considerato il rapporto tra le predette fattispecie penali come di natura sussidiaria; non sarebbe privo di rilievo il fatto processuale della rinuncia all’appello da parte del PG di udienza in relazione al capo a), facendo divenire res iudicata quella parte di sentenza in favore dell’imputato; richiamando a tal fine il disposto dell’art. 648 c.p.p., il ricorrente sostiene che al rigoroso divieto di instaurare un nuovo procedimento penale per i fatti oggetto di accertamento irrevocabile, si contrappone la capacità della cosa giudicata di far stato in relazione ad altri procedimenti che vertono su regiudicande più o meno coincidenti con quella definita; nel caso in esame, opererebbe a favore del ricorrente la res iudicata che il fatto non sussiste e che quindi vi è mancanza dell’elemento oggettivo del reato, comune ad entrambe le imputazioni; opererebbe, in ultima analisi, la forza del giudicato sostanziale interno che, a differenza di quello formale, si riferisce alla situazione sostanziale protetta che è l’oggetto del processo; sul piano logico – giuridico sostanziale, dunque, non era possibile giungere per i giudici di appello alla condanna per il capo b), a fronte dell’irrevocabilità della sentenza sul reato sub a) per insussistenza del fatto, in quanto gli elementi oggettivi sarebbero comuni ad ambedue i capi di imputazione formulati dal PM.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e dev’essere complessivamente rigettato.
4. Seguendo l’ordine suggerito dalla struttura dell’impugnazione proposta in sede di legittimità, occorre muovere dal primo motivo, con cui il ricorrente svolge censure con cui si evoca un vizio di violazione di legge in relazione all’art. 517-ter c.p. e correlato vizio di travisamento della prova determinato dall’errore metodologico grossolano ed apodittico relativo alla tecnica di comparazione della contraffazione ed alla ricostruzione della figura dell’utilizzatore informato.
Il motivo è inammissibile per genericità. Il ricorrente, infatti, si limita a sostenere la correttezza del procedimento di valutazione seguito dal perito …. (la cui relazione era stata condivisa dal primo giudice al fine di pervenire a giudizio assolutorio per il delitto in esame) al fine di rispondere al quesito se i prodotti … potessero o meno godere della tutela prevista dall’art. 2, n. 10, legge n. 633 del 1941, nonché a richiamare una decisione della CGUE quanto alla nozione di “utilizzatore informato”, senza tener conto del diffuso ed articolato percorso argomentativo della Corte leccese che ha puntualmente confutato le argomentazioni liberatorie del primo giudice ed evidenziato gli errori metodologici commessi dal perito nominato al fine di rispondere al quesito. L’impugnazione proposta in questa sede, quindi, difetta dell’indispensabile requisito della specificità, non risultando esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, donde trova applicazione il principio, autorevolmente affer- mato dalle SSUU, secondo cui l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 22/02/2017, Galtelli, Rv. 268822).
E, nel caso in esame, l’analitica esposizione delle ragioni per le quali non fosse condivisibile l’approdo assolutorio cui era pervenuto il primo giudice nonché degli errori commessi dal perito …. nell’escludere la tutela ai prodotti della …, rendeva assolutamente specifiche le ragioni esposte nel provvedimento impugnato.
5. Diversamente invece deve ritenersi con riferimento al secondo motivo di ricorso, che il Collegio giudica infondato e, per tale ragione, da rigettarsi. Con tale motivo, il ricorrente denuncia un vizio di violazione di legge in relazione all’art. 517-ter c.p. quanto all’errato presupposto dell’esistenza del diritto d’autore nei modelli … nonché in materia di diritto d’autore allorchè si riconosce agli oggetti …. valore artistico.
Il motivo – con i limiti di cui si dirà oltre per giustificarne la non manifesta infondatezza – partecipa parzialmente delle medesime ragioni di inammissibilità del primo motivo, atteso che il ricorrente non tiene conto delle puntuali argomentazioni, corrette sia sotto il profilo giuridico che argomentativo, con cui la Corte d’appello riconosce non solo la tutela del diritto d’autore per le opere … che il loro valore artistico ai sensi dell’art. 2, n. 10, legge n. 633 del 1941, in quanto opere del disegno industriale. Troverebbe applicazione, sotto tale aspetto, il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impu- gnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
Tuttavia, come anticipato, le censure, sul punto, sono da ritenersi complessivamente infondate, atteso che i giudici di appello chiariscono (pag. 9), che ai modelli di figurine tridimensionali della … (raffiguranti personaggi, animali ed oggetti), è stato riconosciuto il carattere della distintività ed immediata riconducibilità nella percezione dei consumatori, alla medesima …, in ragione dello stile inconfondibile e da una riconosciuta qualità sia con riferimento ai materiali ed ai colori, sia per le linee arrotondate e sinuose che ne caratterizzano la forma e che conferiscono al prodotto quel caratteristico aspetto “onirico” legato ai sogni ed alle memorie dell’infanzia.
Quanto sopra, aggiunge la Corte d’appello, trova conferma proprio nella giurisprudenza delle sezioni specializzate sulla proprietà industriale ed intellettuale (richiamata alle pagg. 9/10 della sentenza impugnata, qui da intendersi integralmente trascritta), che ha riconosciuto ai modelli … i caratteri della novità (non essendo individuabili sul mercato, prima della loro ideazione, prodotti simili) e della individualità posto che in tutti i modelli ed a prescindere dal soggetto rappresentato, è possibile cogliere un’impronta peculiare ed unica che riconduce alla collezione ….. La stessa giurisprudenza ha, quindi, correttamente inquadrato le figurine ,,, nella categoria di cui all’art. 2, n. 10, legge n. 633 del 1941 (come “opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico”), per il particolare pregio innovativo dato all’utilizzo di forme arrotondate, dall’aspetto sognante, dall’espressione gioiosa e sorridente che infonde buon umore e serenità, caratteri che conferiscono loro uno stile inconfondibile. È quindi fuor di dubbio che il riconoscimento della tutela autorale ai modelli… è stata accordata dalle predette Sezioni specializzate, ma anche perché (v. Trib. Milano, sez. spec. Proprietà ind.le, 23.05.2013), le figurine … hanno avuto un amplissimo riscontro in termini di pubblicazione sulle maggiori riviste italiane ed internazionali, in termini di esposizione in fiere e cataloghi, in termine di diffusione di negozi monomarca, e corner di grandi magazzini di tutto il mondo, dovendosi peraltro aggiungere – come sottolineato dai giudici di appello – che due statuette di “angeli” sono state esposte alla Triennale Design Museum di Milano, organizzata con la Fondazione Museo del design e curata dall’architetto e designer A. Mendini.
6. Assume, peraltro, valenza dirimente sulla questione una importante e recentissima decisione pronunciata da questa stessa Corte di legittimità in sede civile che, se da un lato, conferma la tutelabilità dei prodotti … per il loro valore artistico in base all’art. 2, n. 10 legge n. 633/1941, diversamente, ne esclude – così confortando parzialmente le deduzioni difensive – la tutelabilità ex art. 2, n. 4, legge citata.
In particolare, in una vicenda in cui la … S.p.A. aveva convenuto in giudizio una società per sentir dichiarata la contraffazione di modelli industriali da essa registrati, aventi ad oggetto statuine in ceramica, oltre che per sentire accertata l’attività di concorrenza sleale posta in atto alla controparte per pedissequa imitazione, appropriazione di pregi e concorrenza parassitaria, questa Corte ha, con ampia motivazione (che questo Collegio condivide negli approdi esegetico-inter- pretativi della materia) chiarito i confini della tutelabilità dei prodotti … per il loro valore artistico. Orbene, i profili giuridici che erano stati sottoposti all’esame della Prima Sezione civile di questa Corte avevano investito, da un lato, la asserita violazione e falsa applicazione dell’art. 1 I. aut. in relazione all’art. 2, n. 4 della stessa legge (laddove i giudici di merito avevano erroneamente escluso che le creazioni … potessero rientrare nella previsione normativa di cui all’art. 2, n. 4 I. aut. basandosi sul rilievo per cui le medesime non costituivano delle vere e proprie sculture, ma degli oggetti meramente decorativi e connotati da gradevolezza estetica, privi dei connotati propri delle creazioni artistiche), e, dall’altro, l’esclusione della tutela autorale per il difetto dei requisiti richiesti dall’art. 2, n. 10, legge n. 633 del 1941 (si sosteneva, infatti, che il “valore artistico” richiesto da tale norma si porrebbe in contrasto con la Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie e artistiche, ratificata e resa esecutiva con 399/1978, attuata in Italia il d. Igs. n. 95/2001, per la quale nessuna opera dell’ingegno dovrebbe essere gravata da requisiti ulteriori rispetto al “carattere creativo”, ravvisandosi, altresì, un contrasto tra la predetta norma in tema di diritto d’autore e la dir. 98/71/CE in cui si fa menzione del “grado di originalità” dell’opera, cosa ben diversa dal “valore artistico” della medesima).
Non meno importante, anche ai fini della soluzione della questione giuridica che interessa la vicenda sottoposta all’esame di questo Collegio, l’ulteriore aspetto esaminato dalla Prima Sezione civile, in particolare laddove la … S.p.A. aveva censurato la sentenza di merito nella parte in cui essa aveva negato il riconoscimento del diritto d’autore a … in considerazione della serialità del processo di produzione degli esemplari posti sul mercato, peraltro criticandola laddove affermava che ì prodotti della … sarebbero privi di autonomo valore nel mercato dell’arte, espressione, questa, ritenuta priva di significato, giacché tutti gli oggetti dell’industriai design ne sarebbero sprovvisti.
7. La Prima Sezione civile, nell’esaminare i diversi profili di doglianza, ha svolto le seguenti considerazioni, che questo Collegio, come anticipato, condivide e fa proprie ai fini della soluzione della questione giuridica posta nel presente giudizio. Ricordano, a tal proposito, i giudici di legittimità come l’art. 22 d.lgs. n. 95/2001, in attuazione della dir. 98/71/CE è intervenuto sull’art. 2 I. aut. operando, per un verso, la modificazione della fattispecie di cui al n. 4 (relativa alle opere della scultura, della pittura, dell’arte del disegno, della incisione e delle arti figurative similari, compresa la scenografia), con l’eliminazione dell’inciso “anche se applicate all’industria, sempre che il loro valore artistico sia scindibile dal carattere Industriale del prodotto al quale sono associate”, e introducendo, per altro verso, una ulteriore categoria di opere suscettibili di protezione secondo il diritto d’autore: ciò che ha avuto luogo attraverso la previsione contenuta nel n. 10 dell’articolo, relativa alle “opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico”. In forza di detto intervento normativo la tutela autorale é oggi accordata anche alle opere di disegno industriale che in precedenza ne erano escluse in ragione della impossibilità di separare il loro valore artistico dalla connotazione industriale del prodotto per il quale erano concepite.
La caratteristica propria delle opere di cui all’art. 2, n. 10 I. aut. risiede nel fatto che esse, a differenza di quelle figurative, rientranti nella categoria di cui al n. 4 dello stesso art. 2, trovano la loro collocazione nella fase progettuale di un oggetto destinato a una produzione seriale, quale è quella industriale.
Le due ipotesi (quella di cui al n. 4 e quella di cui al n. 10) si pongono su di un piano di reciproca esclusione, dal momento che, diversamente, non sarebbero state oggetto di distinte previsioni.
L’opera di design industriale risulta essere, cossi, tutelabile alle condizioni indicate (date dal carattere creativo e dal contenuto artistico dell’opera) a norma dell’art. 2, n. 10.
Non lo è, invece, in base all’art. 2, n. 4, ipotesi che, per differenziarsi da quella testé menzionata, non può che riferirsi ad un prodotto della creatività — identificabile attraverso il suo autore, e declinato nella forma figurativa — che deve trovare espressione in un solo esemplare o in un numero limitato di esemplari (posto che l’interesse per l’opera è sollecitato, nei fruitori, anche dall’unicità della creazione o dal quantitativo circoscritto delle sue repliche) e destinato a un mercato differente, sicuramente più ristretto, rispetto a quello cui sono indirizzati i beni oggetto della produzione industriale.
Dunque, concludono i giudici della Prima Sezione civile, non è opera dell’arte figurativa, a norma dell’art. 2, n. 4, il modello immediatamente riferibile a un operatore economico che lo riproduca su ampia scala, in modo standardizzato e in un quantitativo di copie potenzialmente indeterminato, per destinarlo, direttamente o indirettamente, a un mercato di largo consumo.
Ne consegue che correttamente era stato escluso che i modelli di … potessero accedere alla tutela autorale quali vere e proprie opere di scultura, a norma dell’art. 2, n. 4), I. aut.
Limitatamente a tale profilo di doglianza, pertanto, colgono nel segno le censure svolte dalla difesa dello …., circa l’esclusione dei prodotti ….. dalla tutela prevista dall’art. 2, n. 10, legge n. 633 del 1941.
8. A diversa conclusione, invece (e ciò costituisce l’oggetto specifico della questione sottoposta a questa Corte, giustificando il rigetto del ricorso dell’imputato) deve pervenirsi quanto al quesito se i prodotti … possano o meno godere della tutela prevista dall’art. 2, n. 10, legge n. 633 del 1941, quesito che, del resto, era stato posto in termini identici dal GUP al perito nominato dott. …… Riprendendo, al fine di risolvere il predetto quesito, le argomentazioni svolte nella richiamata sentenza n. 7477/2017 della Prima Sezione civile (§ 2.2.), osserva il Collegio che la sentenza del primo giudice, a differenza di quella d’appello, risulta censurabile nell’individuazione dei parametri attraverso cui ponderare il valore artistico dei prodotti … di cui trattasi.
Ed invero, si è detto che le opere di disegno industriale sono proteggibili se presentino di per sé carattere creativo e valore artistico. Il concetto giuridico di creatività — come osservato in più occasioni da questa Corte — non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1 I. aut., di modo che un’opera dell’ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore: con la conseguenza che la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patri- monio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia (Cass. 8 novembre 2011, n. 25173; Cass. 12 marzo 2004, n. 5089).
Con riferimento al valore artistico è stato invece sottolineato come esso sfugga a una definizione che abbia l’attributo dell’esaustività, risultando tuttavia possibile indicare parametri oggettivi, non necessariamente concorrenti, di cui il giudice di merito debba tener conto: il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista (Cass. 13 novembre 2015, n. 23292).
Si tratta di criteri fondati su elementi indiziari del gradiente artistico dell’opera di design, mancando i quali — si è detto — il giudice potrebbe ricorrere all’esperienza e al sapere specialistico di consulenti idonei a fornirgli utili elementi valutativi (Cass. 29 ottobre 2015, n. 22118).
In conseguenza, come avvenuto davanti al giudice nella vicenda esaminata dalla Prima Sezione civile così come anche avvenuto davanti al GUP nella vicenda che impegna questo Collegio, il giudice di merito non poteva negare il valore artistico delle creazioni di… sulla scorta del rilievo per cui esse consisterebbero in oggetti meramente decorativi e connotati da gradevolezza estetica, ma non certo configurabili come vere e proprie creazioni artistiche.
Nè può essere ritenuta condivisibile l’affermazione per cui i prodotti in questione risulterebbero connotati da una forma facilmente riproducibile in modo seriale e su larga scala, non potendo ritenersi manifestazioni di una particolare intuizione espressiva e di uno stile fortemente individuale dell’autore, in quanto riprodotte da anni in migliaia di esemplari e senza autonomo valore nel mercato dell’arte.
Ed invero, a prescindere dal fatto che non è necessario, ai fini del riconoscimento del valore artistico delle opere di design, che esse siano stimate come vere proprie espressioni dell’arte figurativa (costituendo questo solo uno dei possibili indici del predetto valore), è da osservare come la produzione su larga scala risulti del tutto priva di significato, dal momento che ogni opera di disegno industriale è destinata ad essere sfruttata attraverso processi di fabbricazione seriali.
La soluzione indicata dal GUP finisce quindi per vanificare il senso dell’intervento legislativo posto in atto col d.lgs. n. 95/2001, dal momento che rende di fatto non proteggibile tutte le opere di design industriale.
Da qui, dunque, la correttezza dell’interpretazione offerta dalla Corte d’appello nel riformare la sentenza del primo giudice, rientrando evidentemente i prodotti … nella tutela prevista dall’art. 2, n. 10, legge n. 633 del 1941, con la conseguenza della relativa configurabilità dell’art. 517-ter cod. pen.
Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto: «Il delitto di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale è integrato anche nel caso di opere di design industriale destinate alla produzione seriale, le quali sono tutelabili a norma dell’art. 2, n. 10, della legge n. 633 del 1941 ove ricorrano le condizioni normativamente indicate, date dal carattere creativo e dal contenuto artistico dell’opera (Fattispecie avente ad oggetto la questione della tutelabilità autorale di modelli della produzione seriale della … S.p.A., in cui la Corte ha ritenuto correttamente integrato il reato di cui all’art. 517 – ter c.p., osservando che la caratteristica propria delle opere di cui all’art. 2, n. 10 I. aut. risiede nel fatto che esse, a differenza di quelle figurative, rientranti nella categoria di cui al n. 4 dello stesso art. 2, trovano la loro colloca- zione nella fase progettuale di un oggetto destinato a una produzione seriale, quale è quella industriale)».
9. Deve, infine, essere esaminato il terzo motivo di ricorso, con cui la difesa dell’imputato articola censure relative ad un presunto vizio di violazione della legge processuale, in relazione (per quanto si evince dal tenore del motivo, non essendo stata indicata la norma violata) all’art. 648 c.p.p., ossia per violazione del principio dei giudicato formatosi a seguito della rinuncia all’appello da parte del P.G. in relazione al reato sub a).
Anche tale motivo è infondato. La Corte d’appello, richiamando la sentenza di primo grado, chiarisce le ragioni per le quali l’imputazione sub a) è da considerarsi del tutto autonoma da quella sub b). La questione riguardava l’utilizzo del marchio ….. ed il giudice di merito aveva dato atto che il predetto marchio, per le sue caratteristiche grafiche, non conteneva alcun riferimento al marchio …, né gli somigliava in alcun modo, escludendo quanto al capo a) che fosse ravvisabile una contraffazione ed alterazione del marchio …..
Trattasi, all’evidenza, di questione assolutamente indipendente ed autonoma rispetto a quella oggetto di contestazione al capo b), in cui si discute non del marchio con cui i prodotti … venivano commercializzati, ma della introduzione nello Stato, al fine di trarre profitto, dei predetti prodotti usurpando il titolo di proprietà industriale della .. ed in violazione dello stesso, titolo di cui è pacifico che il ricorrente fosse a conoscenza.
Che, peraltro, l’assoluzione irrevocabile pronunciata in relazione al reato sub a) non refluisca sul reato sub b), stante l’autonomia tra le due fattispecie, è confermato anche dalla stessa giurisprudenza di questa Sezione, che ha infatti chiarito come ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen., posti a tutela del bene giuridico della fede pubblica, è necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio o segno distintivo che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento, a differenza del reato previsto dall’art. 517 ter cod. pen., che tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale, il quale ricorre sia nell’ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell’ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti “originali” da parte di chi non ne è titolare (In applicazione di tale criterio discretivo, questa S.C. ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata che aveva escluso il reato di cui all’art. 474 cod. pen. non sussistendo la contraffazione del marchio, riconoscendo però l’integrazione del reato previsto dall’art. 517 ter cod. pen. per l’indebito sfruttamento di un segno distintivo altrui mediante la riproduzione, in modo parassitario, dei connotati essenziali: Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016 – dep. 27/03/2017, P.C. in proc…, Rv. 269751).
Ne discende, pertanto, proprio in ragione dell’evidente autonomia dei fatti e della diversità, anche sotto il profilo giuridico, delle imputazioni oggetto di contestazione sub a) e sub b), che non ricorrono le condizioni per l’operatività del giudicato sostanziale interno ex art. 648 c.p.p., ciò presupponendo che l’efficacia vincolante del “decisum” si estenda oltreché ai fatti di cui è stata specificatamente accertata la presenza o la mancanza, anche a quegli altri fatti la cui esistenza o inesistenza funge da postulato “necessario” rispetto alle conclusioni in esso recepite.
La preclusione del giudicato, in sostanza, investe tutta quella parte che, pur non avendo formato materia di espressa pronuncia del giudice, tuttavia con l’adottata decisione è intimamente collegata.
Nella specie, proprio per la richiamata autonomia e diversità, non può certamente affermarsi che l’assoluzione irrevocabile dai fatti sub a) per la loro insussistenza, si estenda – oltre che agli elementi costitutivi del “fatto” di cui è stata specificatamente accertata la mancanza -, anche agli altri, ma differenti, elementi costitutivi del “fatto” sub b), la cui esistenza o inesistenza funge da postulato “necessario” rispetto alle conclusioni recepite nel decisum irrevocabile.
Del resto, e conclusivamente, questa stessa Corte nella sua più autorevole composizione, ha chiarito, sebbene con riferimento al tema della preclusione connessa al principio “ne bis in idem”, che l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005 – dep. 28/09/2005, P.G. in proc. …. ed altro, Rv. 231799).
10. Il ricorso dev’essere, conclusivamente rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento delle spese relative all’azione civile, liquidate in base ai criteri di cui al D.M. n. 55/2014 nella misura media in dispositivo indicata.
Fonte Suprema Corte di Cassazione