Amministrativo, Urbanistica, Rapporto fra strumenti di pianificazione urbanistica e clausole di salvaguardia, Cons. St., sez II, Sentenza del 23 marzo 2020 n. 2012
Il disegno urbanistico espresso da uno strumento di pianificazione generale costituisce estrinsecazione del potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità che rispecchia non soltanto scelte strettamente inerenti all’organizzazione edilizia del territorio, bensì afferenti anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico; esso si articola su vari livelli, secondo i principi di sussidiarietà, così da cercare di assicurare al livello di governo più vicino al contesto cui si riferisce il compito di valorizzare le peculiarità storiche, economiche e culturali locali e insieme il principio di adeguatezza ed efficacia dell’azione amministrativa (1).
Allo scopo di evitare che nel periodo intercorrente tra l’adozione e l’approvazione definitiva di un piano vengano rilasciati provvedimenti che consentono attività edificatorie (o comunque trasformative) del territorio, alla stregua per lo più di norme maggiormente permissive, compromettendo l’assetto per come “progettato” e pensato negli strumenti adottati, in materia urbanistica si utilizzano le “clausole di salvaguardia”; esse si concretizzano nella doverosa sospensione dei procedimenti finalizzati al conseguimento di ridetti titoli, fino all’approvazione del nuovo strumento urbanistico pianificatorio, e in attesa della sua entrata in vigore, alla stregua del quale dovrà assumersi la determinazione definitiva (2).
1) Con la sentenza in esame la Sezione affronta il problema del rapporto tra i vari livelli di pianificazione territoriale, evidenziando come nella individuazione dei contenuti quelli di maggior dettaglio sono rimessi ai provvedimenti adottati dagli Enti più vicini al territorio, nel rispetto dei principi di sussidiarietà ed efficacia dell’azione amministrativa.
Il rapporto intercorrente tra i vari livelli di pianificazione implica uno specifico scrutinio della loro portata e potenzialità immediatamente lesiva della posizione dei singoli, senza attenderne una “specificazione” in ambito territoriale più ristretto.
Diversamente, in assenza di indicazioni specifiche nei Piani sottordinati, ovvero, ancor prima, una volta acclarata la correttezza delle stesse, verrebbe meno anche l’interesse all’autonoma impugnativa del Piano sovraordinato.
(2) Sul piano del diritto intertemporale, le cd. “misure di salvaguardia”, in una prospettiva esclusivamente cautelare, sono le regole utilizzate in urbanistica allo scopo di evitare che nel periodo intercorrente tra l’adozione e l’approvazione definitiva di un piano, il rilascio di provvedimenti che consentono attività edificatorie (o comunque trasformative) del territorio, alla stregua per lo più di norme maggiormente permissive, possa comprometterne l’assetto per come “progettato” e pensato negli strumenti adottati.
Esse si concretizzano nella doverosa sospensione dei procedimenti finalizzati al conseguimento di ridetti titoli, fino all’approvazione del nuovo strumento urbanistico pianificatorio, e in attesa della sua entrata in vigore, alla stregua del quale dovrà assumersi la determinazione definitiva.
L’esigenza sottesa alle misure di salvaguardia è dunque di carattere conservativo e si identifica nella necessità che le richieste dei privati – fondate su una pianificazione ritenuta non più attuale, in quanto in fieri, e quindi potenzialmente modificata – finiscano per alterare profondamente la situazione di fatto e, di conseguenza, per pregiudicare definitivamente proprio gli obiettivi generali cui invece è finalizzata la programmazione urbanistica, rendendo estremamente difficile, se non addirittura impossibile, l’attuazione del piano in itinere (Cons. St., Sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 257).
Fonte Giustizia Amministrativa