Industria Italiana, Ottava manifattura del mondo; la seconda in Europa.

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Industria Italiana, Ottava manifattura del mondo; la seconda in Europa.

Rapporto Industria 2025: quanto è competitiva la manifattura italiana?

La fotografia del Centro Studi Confindustria per comprendere la nuova geografia industriale italiana

La manifattura italiana rappresenta da sempre il fiore all’occhiello dell’economia nazionale e continua a essere uno dei pilastri essenziali della crescita del Paese.

Il Rapporto Industria 2025, elaborato dal Centro Studi Confindustria, nasce dall’esigenza di offrire un quadro organico, aggiornato e comparabile delle trasformazioni che hanno attraversato l’industria nell’ultimo decennio, in un contesto segnato da shock economici, sanitari e geopolitici.

Al centro dell’analisi vi è il tema decisivo della competitività: il Rapporto esamina in profondità punti di forza e criticità del nostro sistema produttivo, dalla cui performance dipendono le prospettive di crescita del Paese.

Un settore unico nel panorama europeo

La manifattura italiana presenta caratteristiche che la rendono un unicum nel contesto internazionale.

È il sistema produttivo più diversificato d’Europa e vanta una propensione all’investimento sistematicamente superiore a quella delle altre grandi economie del continente.

Negli ultimi anni, inoltre, il rafforzamento patrimoniale delle imprese ha consentito all’Italia di allinearsi al livello di capitalizzazione delle imprese tedesche e francesi, migliorando potenzialmente capacità d’investimento, resilienza e competitività.

La forte apertura ai mercati esteri rappresenta un altro tratto distintivo: quasi metà della produzione industriale è destinata all’export.

Nell’ultimo decennio, l’Italia ha registrato una crescita delle esportazioni superiore a quella dei principali competitor europei, guadagnando quote sui mercati internazionali e generando un surplus commerciale determinante per l’equilibrio delle partite correnti.

Il rapporto conferma che il successo dell’industria italiana all’estero è dovuto in misura crescente alla qualità dei prodotti. I miglioramenti sono diffusi, ma particolarmente evidenti in settori ad alta intensità innovativa come la farmaceutica.

Il nodo irrisolto della produttività

Accanto a molti elementi positivi, il rapporto sottolinea una criticità che accompagna la manifattura italiana da oltre trent’anni: la debole crescita della produttività.

All’interno del sistema economico nazionale, l’industria è il settore più dinamico, ma nel confronto con le altre manifatture europee la sua performance è meno brillante, prevalentemente a causa di un contributo negativo della produttività totale dei fattori.

Le cause sono molteplici.

Innanzitutto, la struttura dimensionale: l’Italia ha una quota molto elevata di micro e piccole imprese e, anche tra quelle grandi, una dimensione media più contenuta rispetto ai concorrenti europei.

Eppure, quando si guarda alle imprese medio-grandi, emerge un segnale incoraggiante: sono più produttive delle omologhe tedesche, francesi e spagnole.

È dunque la distribuzione dimensionale, più che la qualità delle imprese leader, a frenare il potenziale della manifattura in aggregato.

Inoltre, rimane ancora debole la crescita del capitale fisico disponibile, mentre la propensione ad investire in beni immateriali, che è cresciuta sensibilmente negli ultimi anni, è inferiore a quella osservata negli altri grandi paesi manifatturieri, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti in proprietà intellettuale.

A partire dal 2015, la crescita della produttività manifatturiera italiana ha mostrato segnali di convergenza rispetto ai competitors europei, anche grazie al contributo più favorevole del capitale intangibile e ad un contributo finalmente positivo della produttività totale dei fattori.

Rilevanti anche la trasformazione qualitativa del tessuto produttivo, determinata da un intenso processo di selezione che ha ridotto il numero di micro imprese di quasi il 12%, e la concomitante crescita della dimensione media tra le grandi imprese e il già menzionato rafforzamento patrimoniale.

Una crescita che è stata trainata soprattutto dalle imprese più innovative, le cosiddette imprese “alla frontiera”.

Parallelamente, è aumentata la distanza tra le imprese più produttive e quelle meno, e sono rimasti limitati i movimenti di capitale e lavoro verso i settori a più alto valore aggiunto.

Questo ha contribuito a mantenere la specializzazione italiana concentrata in comparti a media e bassa intensità tecnologica, mentre altri paesi europei si sono spostati più rapidamente verso produzioni avanzate.

Infine, le crisi degli ultimi 5 anni, prima sanitaria e poi energetica, hanno reso meno chiara la lettura sia dei segnali di convergenza sia delle loro cause, e la dinamica della produttività in Italia è tornata a perdere terreno.

Per rafforzare in modo duraturo la dinamica della produttività, è necessario agire contestualmente su più leve: sostenere l’innovazione e l’efficienza delle imprese alla frontiera, promuovere la diffusione delle migliori pratiche gestionali e tecnologiche tra le realtà meno produttive attraverso le filiere, favorendone la crescita dimensionale, e agevolare una maggiore convergenza di capitale e lavoro verso imprese e settori con maggiore potenziale.

La manifattura in numeri: il contributo alla crescita del Paese

Il Rapporto conferma che la manifattura è uno dei principali motori della crescita italiana e quantifica con chiarezza il suo contributo al Paese.

L’industria genera infatti circa 15% del PIL – quota che supera un terzo se si considera l’indotto – e oltre il 60% della produzione complessiva.

La manifattura è responsabile, inoltre, di quasi il 35% degli investimenti complessivi e del 50% della spesa nazionale in ricerca e sviluppo, sostenendo innovazione, occupazione qualificata e crescita della produttività.

A questi dati, si aggiunge il suo ruolo fondamentale nelle esportazioni: oltre il 95% dell’export è manifatturiero.

Ampliando lo sguardo e valutando la rilevanza a livello globale, l’Italia si conferma un attore di primo piano: è l’ottava manifattura al mondo e la seconda in Europa, con un modello produttivo altamente diversificato, fortemente orientato ai mercati esteri e integrato in filiere complesse.

Approfondimenti tematici

Il rapporto approfondisce inoltre due argomenti chiave sulla base di studi empirici accademici.

La prima serie di approfondimenti analizza il valore delle competenze, della flessibilità e dell’inclusione come leve per la competitività industriale: alla luce del declino demografico e della trasformazione tecnologica, emerge la necessità di una strategia integrata che ampli la base occupazionale attraverso servizi di cura e infrastrutture sociali, diffonda buone pratiche manageriali per un uso efficace delle tecnologie digitali e migliori l’efficienza istituzionale, offrendo un quadro regolatorio che favorisca mobilità del lavoro e investimenti innovativi.

La seconda serie di approfondimenti studia invece le implicazioni del ritorno della politica industriale, sottolineando come l’efficacia delle stesse varia a seconda delle modalità di implementazione.

Schede settoriali: la voce delle associazioni di categoria

L’ultimo capitolo del rapporto integra le analisi aggregate con dati settoriali a un livello più granulare e le indicazioni raccolte dalle associazioni di categoria, che riportano le percezioni degli imprenditori su quali siano gli ostacoli, le traiettorie di sviluppo e le condizioni necessarie per continuare a competere.

Un lavoro capillare dal quale emergono alcuni punti ricorrenti:

tra gli ostacoli alla competitività, il costo dell’energia è indicato dal 92% delle associazioni come il principale fattore critico;
qualità, specializzazione e competenze tecniche restano leve distintive del sistema produttivo;
digitalizzazione, sostenibilità e innovazione sono le priorità d’investimento più condivise;
molte filiere mostrano una forte apertura internazionale e una capacità di adattamento ai cambiamenti tecnologici e geopolitici.

26 Novembre 2025

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